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Quando ero piccolo avevo un’usanza non così consueta: ogni 8 marzo, tutti gli 8 marzo, dalle elementari alla fine delle medie, ho portato a tutte le mie compagniucce un rametto di mimosa.

Andavamo da un fioraio che, conoscendomi, mi preparava ogni anno un ramo enorme di mimose e mi dava anche la velina necessaria per incartarle. Poi, la sera del 7, con mia madre mi mettevo lì e le impacchettavo tutte a manina. Senza dimenticare quelle più grosse e più belle per le maestre (alcune stronze, altre che porto ancora nel cuore) che mi hanno traghettato fino alle superiori.

Ricordo bene che l’idea era nata ed era continuata da me, mai un “reminder” dei miei; con precisione, ogni anno chiedevo di esser portato a comprare quel ramo di mimose. È un peccato che venisse visto come leccaculismo da qualcuno (anche se eravamo persone semplici, l’avranno pensato 1 o 2 forse nell’ultimo biennio). All’epoca, non sapendo il significato idiota di questa festa, pensavo solo di fare una cosa bella.
Sarò pure stato preso in giro, ma tutte le mie compagne -ricordo- aspettavano con felicità quel momento e mi ringraziavano, chi più e chi meno, con un bel sorriso.

È terribile se si pensa che sono passati ormai 15 anni e che di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia… compresi usi e costumi che sono così, irrimediabilmente, cambiati (=peggiorati).